Turismo culturale

Castello Normanno-Svevo

Una parte importante della storia lametina è sicuramente quella che riguarda il "nostro" Castello Normanno. Quando si viene in questa città non si può non visitare ciò che ne è parte integrante, una parte alla quale tutti in fondo siamo affezionati e che siamo stati abituati a vedere da sempre e che da sempre ci regala una vista mozzafiato di tutta la città.


Castello Normanno, vista della città - foto di Dattilo Marisa

L'indagine archeologica ha permesso di portare alla luce l'imponente rupe rocciosa su cui fu costruito il torrione normanno-svevo: oggi è possibile osservare l'imponenza della struttura fortificata poggiante direttamente sul banco roccioso secondo i dettami dell'architettura dell'epoca normanna. È inoltre venuto alla luce l'originario sistema di accesso alla sommità, tramite una scala in pietra, obliterata nella fase angioina da un imponente muro di sostegno della rupe stessa. Alla fase di XIII - XIV secolo è anche attribuibile un muro di cinta più antico con andamento leggermente diverso da quello cinquecentesco che lo utilizza come fondamenta per il proprio alzato. Una grande area di lavorazione artigianale è stata portata alla luce nella parte orientale, con una fornace per la produzione associata di oggetti in vetro e in metallo (prima e seconda lavorazione) e una grande calcara scavata nella roccia, circondata da grossi frammenti di pietra verde locale pronti per essere sbozzati. Si tratta probabilmente del cantiere di XIII - XIV secolo per il rifacimento e restauro del torrione e l'ampliamento del circuito murario. A questa fase di cantiere succede la costruzione di un'ampia sala rettangolare di rappresentanza le cui volte a crociera erano sorretta da due pilastri a pianta ottagonale.
Alla fase cinquecentesca appartiene il complesso sistema di canalizzazione dell'acqua visibile sulla rupe del torrione: l'acqua defluiva verso la grande cisterna del castello, localizzata in basso, attraverso tre condutture in terracotta. È anche visibile un pozzetto di ispezione di una di queste canalizzazioni.
Alla fase di XVI - XVII secolo appartiene un grande ambiente rettangolare appoggiato al muro di cinta cinquecentesco, destinato probabilmente ad ospitare le cucine del castello: un grande forno, di cui si conserva la base di appoggio in mattoni refrattari, si trova nell'angolo nord dell'ambiente. All'esterno di questo edificio è stata messa in luce una fornace per la produzione di ceramica, anch'essa riferibile a questa fase.


Foto di Dattilo Marisa

Dattilo Valentina

Museo archeologico lametino

Foto di Dattilo Valentina

Sabato 13 febbraio 2010 è stato inaugurato il nuovo Museo Archeologico, dopo il trasferimento nel complesso monumentale del San Domenico . La riapertura del museo archeologico rappresenta il raggiungimento di un obiettivo importante dell'Amministrazione comunale di Lamezia Terme, che risponde al bisogno di recupero dell'identità del territorio attraverso le tracce e i segni riscoperti del suo passato più lontano. Il risultato raggiunto è frutto del proficuo rapporto di collaborazione dell'Amministrazione negli ultimi anni con la Sovrintendenza per i beni archeologici della Calabria.
L'attuale Soprintendente, dottoressa Simonetta Bonomi, ha del resto ricordato, in un recente incontro col Sindaco, che la legislazione vigente in materia di beni culturali fa della valorizzazione del patrimonio materia concorrente tra Stato ed Enti locali, e che la realizzazione di un  nuovo allestimento museale all'interno di un edificio storico di per sé carico di significati come il S. Domenico, che racconta un pezzo di vita della nostra città, è il modo migliore di presentare alla comunità lametina il complesso dei reperti recuperati nel corso del tempo, legandoli alla storia del territorio. Nel medesimo incontro col Sindaco il dott. Roberto Spadea, direttore archeologo dell'area lametina, che sta curando il nuovo allestimento, ha anticipato che saranno molte e significative le novità  del nuovo Museo, dalla pannellistica arricchita nel numero e nei contenuti per far spazio a tutti i materiali rinvenuti nel territorio e alle novità maturate in scavi e ricerche dell'ultimo decennio, alla forte impronta didattica della sezione preistorica. La nuova sede del Museo, al primo piano del Complesso Monumentale, molto più ampia e imponente della precedente, è stata restaurata proprio per essere resa idonea ad ospitare il nuovo allestimento ed ha richiesto un lavoro molto impegnativo e delicato per renderla idonea ad accogliere e conservare nel rispetto delle misure di sicurezza necessarie, reperti archeologici di grande valore di proprietà dello Stato. 
E' una grande opportunità l'apertura del nuovo Museo Archeologico Lametino, che va ad inserirsi a pieno titolo nella rete dei Musei archeologici della Calabria, per l'importanza dei reperti che custodisce, tutti quelli del territorio, e dunque per il loro essenziale valore culturale di segni e testimonianze di millenni di storia della Piana di Sant'Eufemia.
L'ampiezza degli spazi consente l'articolazione della nuova esposizione in tre sezioni distinte: Preistoria, Età classica, Età medievale.


Foto di Dattilo Marisa


Foto di Dattilo Marisa


Preistoria. La sezione preistorica, dedicata allo studioso nicastrese Dario Leone, documenta la frequentazione umana in Calabria fin dai tempi remotissimi. Nelle sue vetrine sono esposti i più antichi strumenti utilizzati dai primi cacciatori paleolitici che abitarono la regione. Inoltre sono esposti i segni della presenza di agricoltori neolitici nella Piana Lametina (Casella di Maida, Acconia, San Pietro Lametino), a partire da 7500 anni fa, tra i quali i materiali (choppers e industria litica) recuperati nella stazione paoletica di Casella di Maida. La serie di strumenti in ossidiana (pietra lavica proveniente dalle Isole Eolie) e vari frammenti di ceramiche con complessi ed eleganti motivi decorativi geometrici impressi appartengono, invece, al neolitico. Nella sezione preistorica il museo ospita anche una proposta di archeologia sperimentale che ricostruisce strumenti e tecnologie di fabbricazione dei vasi che si realizzavano nel neolitico.
Età Classica. Le più antiche testimonianze archeologiche di età greca, sporadiche, ma interessanti, appartengono al VII secolo a.C. e sono costituiti da frammenti ceramici, raccolti in località Sansinato, sull'istmo Lamezia- Catanzaro, che attestano l'utilizzazione dell'istmo quale via di comunicazione più breve e più comoda tra i mari Ionio e Tirreno. La sezione classica, divisa in due sale, è riservata a Terina, la colonia greca fondata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. dai crotoniati individuata nell'area di Santa Eufemia Vetere, dove dal 1997 la Soprintendenza della Calabria conduce ricerche sistematiche.
Nelle vetrine della prima sala sono esposti i tre tesoretti monetali che sintetizzano la storia dei rapporti politici ed economici che hanno interessato la piana lametina. In particolare il primo è un gruzzolo di monete incuse recuperate in località Polveracchio di Acquafredda (frazione di Lamezia Terme), importante perché è il più antico tesoretto ritrovato in Magna Grecia e perché indica che alla fine del VI secolo a.C. la piana era sotto l'influenza di Sibari e che questa aveva rapporti commerciali con comunità indigene, come testimonia la presenza di un panetto d'argento compreso nel gruzzolo. Il secondo, ritrovato a Curinga in località Serrone, apre una nuova prospettiva politica per il territorio della piana agli inizi del V secolo a.C.
Nella seconda sala sono esposti oggetti provenienti da chora (territorio) della città antica, ma soprattutto i materiali recuperati attraverso raccolte di superficie nel corso di recenti scavi. Si tratta in particolare di oggetti di uso comune attestanti le diverse attività maschili e femminili che si realizzavano all'interno dell'oikos (casa) e di materiali riferibili a scambi e commerci di prodotti. Tra i materiali di età greca, si segnala un chiodo in bronzo con iscrizione recuperato nella zona di Capo Suvero di Gizzeria Lido. La sezione si conclude con alcuni reperti di età romana provenienti da diversi siti del territorio.
Età Medievale.  La sezione medievale finora dedicata prevalentemente al Castello di Nicastro, che ha origine normanna, si arricchisce dei reperti dell'Abbazia di S. Maria di S. Eufemia recuperati nella campagna archeologica del 2006.

Nelle vetrine sul Castello è esposta una selezione del materiale più significativo rinvenuto durante le campagne di scavo archeologico condotte dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria dal 1993 in poi. La scelta dei pezzi, disposti nelle vetrine secondo un criterio strettamente cronologico, intende mostrare l'attestarsi nell'area della fortezza di una frequentazione continua dall'età bizantina e normanna all'età moderna. Altre vetrine illustrano i risultati delle indagini compiute nell'Abbazia Benedettina di Santa Eufemia, edificata tra il 1062 ed il 1065 da Roberto il Guiscardo sui resti di un antico monastero bizantino, con una campionatura dei materiali ceramici  frammentari  recuperati con la recente campagna di scavi e l'esposizione di altri reperti provenienti dall'Abbazia. Provengono  proprio dall'abbazia benedettina alcuni elementi architettonici in marmo e pietra, frammenti di intonaco dipinto (risalenti al periodo XIV-XVII secolo) e parti di pavimentazione rinvenuti nell'area presbiteriale della chiesa, dove è stata messa in luce una straordinaria tessitura musiva realizzata in età normanna secondo modelli e simbologie note.

foto di Dattilo Marisa
foto di Dattilo Marisa




Dattilo Valentina


Un Gigante della Sila, Riserva Naturale di Fallistro

La Riserva Naturale Guidata Biogenetica dei Giganti della Sila, nota anche come Riserva Naturale del Fallistro dal nome della località in cui è ubicata. Si tratta di un’area naturale protetta statale istituita nel 1987. In questo bosco di circa 5,44 ettari è possibile ammirare gli stupefacenti “Giganti della Sila” o “Giganti di Fallistro”, pini larici ultracentenari di dimensioni maestose, i cui tronchi – spesso di oltre 45 metri di altezza per due metri e più di diametro alla base – formano una sorta di colonnato naturale.I pini secolari presenti nella riserva calabrese sono 56. Tutte le piante sono state catalogate dal Corpo Forestale dello Stato, che ha realizzato e collocato in prossimità di ciascuna, tabelle informative nelle quali vengono indicati l’altezza, l’età della pianta, la specie e il diametro del tronco. Secondo alcuni studi effettuati su campioni di legno delle piante attualmente esistenti,  parte del bosco compreso nella Riserva risale agli anni 1620-1650. Gran parte degli esemplari presenti nella Riserva sono infatti ultrasecolari, alcuni raggiungendo e superando i 350 anni, mentre altri hanno circa 150 anni.  Nati in maniera spontanea, si possono però scorgere anche Pini Larici di età inferiore ai 30 anni. Nell’areale circostante oltre al pino laricio sono presenti anche meli selvatici, faggi, castagni, pioppi tremuli e aceri montani.
Le piante presenti nella riserva vengono lasciate crescere senza particolari interventi da parte dell’uomo; anche gli esemplari abbattuti dagli elementi naturali o dalla vecchiaia sono lasciati sul terreno dove rimangono esposti ai normali processi biologici di deterioramento, in un rispetto integrale dell’ecosistema.Il luogo conserva così l’aspetto affascinante di quella che fu la foresta primigenia dell’altopiano della Sila il cui nome stesso deriva da un’espressione osca corrispondente al latino “silva”, ossia “selva”, “bosco”. I Romani – che ne utilizzarono il legname per le loro leggendarie triremi – chiamavano l’area della Sila, compreso l’altopiano delle Serre e l’Aspromonte, “Silva brutia”.



Aggirandosi per il bosco non è raro imbattersi anche in qualche esemplare di fauna locale che è quella tipica delle zone appenniniche: dallo scoiattolo nero calabrese alla volpe appenninica. Fra gli uccelli non mancano rapaci come la poiana o il gheppio, ma nella riserva vive anche il picchio rosso maggiore, il picchio rosso mezzano e il raro picchio nero. Non è esclusa, sebbene molto rara,  la presenza del cinghiale, soprattutto nel periodo autunnale-invernale.

La Riserva è aperta tutti i giorni, eccetto durante gli inverni rigidi, dalle ore 9.00 alle 16.00. Si paga un biglietto di 1 euro (ridotto 50 cent.). Info: Corpo Forestale dello Stato, ufficio di Camigliatello Silano, tel. 0984.76760.


Notizie da “ Fame di sud”.


Federico II di Svevia.

La statua monumentale in bronzo di Federico II di Svevia (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), realizzata dall’artista scultore lametino Maurizio Carnevali, è stata donata alla Città il 29 novembre 2009, dal Lions Club di Lamezia Terme, sotto la presidenza dell’avv. Antonello Sdanganelli, in una solenne manifestazione a conclusione delle “Giornate Federiciane” tenutesi dal 23 al 29 novembre 2009.

La statua bronzea rappresenta un’opera d’arte tale da divenire un riferimento culturale e sociale per l’intera comunità con lo scopo  di radicare nei cittadini il senso della memoria, di una parte della città ricca di storia. Con la sua imponenza- oltre tre metri di altezza- sorge in via Garibaldi con la fronte rivolta al Castello che proprio Federico II ha ampliato rispetto all’originario prospetto normanno, rendendolo, soprattutto, un importante centro politico amministrativo, avendovi istituito la Tesoreria Regia con la funzione di incamerare le entrate tributarie da Roseto Capo Spulico fino alla Sicilia Peloritana.

Il governo imperiale di Federico II ha attribuito alla Città rilievo ed importanza, in quanto ha dimorato più volte ed amato il nostro castello ed i nostri luoghi rendendo la città pari ordinata, quanto a rango imperiale, a Napoli, Palermo e Reggio, affrancandola dai vincoli feudali e rendendola Città Demaniale. Durante il suo impero i delegati della città di Nicastro partecipavano alla Curia Regia di Foggia insieme con quelli di Reggio, Cosenza e Crotone.

Statua Federico II di Svevia - foto di Dattilo Valentina

La gestualità nella statua di Federico II è stata studiata dall’artista nei minimi dettagli. La mano ha due funzioni: reggere il falco che ha un significato importante in quanto, come ha spiegato lo stesso Carnevali, è risaputo che l’imperatore amava il nostro territorio per la caccia al falcone, nello stesso tempo il gesto di indicare con la mano è l’atto imperioso di chi comanda e sembra indicare proprio il castello.

La statua richiama alla memoria l’Augusto di Prima porta, statua romana classica dell’imperatore Augusto Ottaviano, quasi ad indicare il parallelismo che si vuole creare tra la grandezza di Augusto e quella di Federico II che voleva emularne la grandiosità.

La realizzazione di questa statua rappresenta un momento di rivalsa per la città.

Sito di riferimento “Comune di Lamezia Terme” .

Dattilo Valentina

LA CASA DEL LIBRO ANTICO

La Casa del libro Antico, situata in piazza Campanella – Palazzo Nicotera – di Lamezia Terme, nasce nel 2002, conserva e valorizza oltre duemilacinquecento libri stampati dall’inizio del secolo XVI nei vari centri italiani (Venezia, Roma, Napoli) ed europei (Lione, Anversa, Parigi) ove fiorì l’arte tipografica, alcune opere manoscritte dello stesso periodo e frammenti di codici manoscritti greci ( probabile datazione XI) e latini (databili XIV-XVsec.) recuperati quali maculature, insieme a una serie di testimonianze archivistiche.

La collezione libraria è costituita principalmente da opere di teologia, filosofia, patrologia, storia ecclesiastica ed esegesi, insieme a raccolte omiletiche, agiografiche, canoniche e bullari, datati dall’XI al XIX secolo, tra i quali si annoverano i testi postillati da Tommaso Campanella che studiò a Nicastro tra il 1585 e il 1587 dove coltivo’ studi di logica aristotelica. Sono infatti più di trenta le cinquecentine che hanno come argomento la filosofia Aristotelica con i suoi classici interpreti e commentatori: Averroè, Alessandro d’Afrodisia, Teodoro Gaza, San Tommaso, gli scritti averroistici di Agostino Nifo e Marcantonio Zimara e Crisostomo Iavelli, menzionati dallo stesso Tommaso Campanella fin dalle pagine della Philosophia sensibus demonstrata. Interessanti sono i segni e manoscritti e le postille autografe presenti su alcuni di questi libri.

Sono conservati più libri di Tommaso d’Aquino, come per esempio la Summa Teologica e le opere aristoteliche in edizioni diverse, oppure libri recanti i suoi commenti, cosi’ come per le Epistole di San Paolo (Parigi, 1541), dove sono presenti due lunghe annotazioni riguardanti un tema dibattuto e approfondito anche da Tommaso Campanella: l’assenza del peccato in Cristo e l’immunità della Vergine Maria dal peccato originale.

A testimonianza dell’importanza che il canto aveva nell’ufficiatura per i frati domenicani, sono esposti inoltre deli libri liturgici secenteschi con suggestiva stampa in rosso e nero del testo e delle musiche di accompagnamento. Solo uno fra i libri conservati e’ precedente alle risoluzioni del Concilio di Trento, si tratta del Repertorium morale di Berchorio (Lione, 1520), sul quale tra l’altro è presente una sorta di firma di un fra’ Tommaso da Squillace, le cui pagine sono tutte contrassegnate in testa dall’annotazione dell’autore sacro trattato, annotazione probabilmente resasi necessaria per una rapida consultazione o per memorizzare visivamente il contenuto, a causa della difficoltà creata dai caratteri gotici particolarmente ostici usati per la stampa.

Al patrimonio si aggiungono un globo celeste interamente restaurato risalente al 1695 e uno terrestre non restaurato risalente al 1744. Il primo venne prodotto a Roma dalla Calchographia Dominici de Rubeis nel 1695 con illustrazione della volta celeste basata sulle osservazioni di Tycho Brahe mentre il secondo, illustrante i mari e le terre emerse, venne prodotto sempre a Roma ma nella Calcografia della Reverenda Camera Apostolica nel 1744. I due globi vennero menzionati dal noto Vito Capialbi nella sua ricognizione sulle Biblioteche Calabresi come originariamente presenti nel patrimonio del convento domenicano di Soriano Calabro e dallo stesso Tommaso Campanella nella sua La città del Sole. Sono inoltre esposte delle riproduzioni fedeli e molto pregiate del mappamondo di Fra Mauro (il cui originale è conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e in cui il nord e il sud risultano invertiti rispetto alla convenzione generalmente in uso), del Codex Rossanensis (il cui originale si trova nel Museo Diocesano di Rossano) e della Tavola Peutingeriana.


Tra alcune delle opere esposte alla Casa del libro antico si segnalano:

  • Le metaforfosi di Ovidio, illustrate con xilografie e restaurate, datate 1536;
  • Libri liturigici dei Frati Domenicani di Nicastro datati 1656;
  • Conceptos de la Sagrada Escrit, di Bernardo de Ribera a testimonianza di una predicazione, imposta o scelta, in lingua spagnola e recante sul frontespizio l’annotazione di possesso “fr. Ambrosius de Neocastro lector e filius Con(ven)tus Neocastri”, indicante l’uso del libro da parte di un religioso del luogo;
  • Institutiones ad Christianam Theolo(giam), Venezia 1575 di Giovanni Viguerio;
  • Sermoni domenicali di S. Antonio, Venezia 1574; 
  • Summa summarum detta Summa Silvestrina, due tomi dell’edizione veneta del 1581;
  • Le vite dei Cesari di Svetonio, Venezia 1506;
  • De Vitis Pontificum Romanorum di Bartolomeo Sacchi detto il Platina, Colonia 1568, citato da Tommaso Campanella nella sua Historiographia;
  • De civitate Dei di Sant’Agostino, Venezia 1570;
  • Bibbia con glossa ordinaria e Postilla di Nicolò da Lyra, Venezia 1588; 
  • Opera Omnia di Sant’Ambrogio, Roma 1579-87 
  • Candelabrum Aureum, 1608.


Opere Proibite

Di grande interesse storico sono le opere conservate che testimoniano le leggi che regolarono cosa era lecito o no leggere durante i secoli passati, dei divieti in continuo divenire che potrebbero essere all’origine di una rilegatura collettiva di tre diversissime operette conservate nella biblioteca lametina: la Lapsi, Punitim ac Reparati Orbis Catastrophe. Poema Sacrum, stampato a Napoli nel 1666 e dedicato a Juan Caramuel (vescovo campano e autore di alcune pagine di commento al poemetto), il trattatello mistico di Papa Innocenzo III pubblicato nel 1534 nella protestante Lipsia (quindi malvisto) e una leggenda legata al convento domenicano di Soriano Calabro pubblicato a Messina nel 1696. Sul dorso di questa rilegatura collettiva infatti, il prudente miniatore occulto’ tutto sotto il sincretico titolo Poema Sacrum de Contemptu mundi. Nella raccolta di origine domenicana sono inoltre presenti anche la proibita Bibliotecha Interpretum (1638) di Xantes Mariales, le opere proibite di Zacharia Pasqualigi e la Storia Ecclesiastica di Alessandro Natale, autore messo all’indice perché colpevole di difendere la dottrina della “Chiesa Gallicana”, presenti in tre edizioni: una veneta del 1732 curata da Amat de Graveson, una parigina del 1740 e una napoletana, sempre del 1740, curata da Roncaglia. A causa della censura ecclesiastica, opere stampate nel cinquecento nelle città di Basilea, Francoforte e altri luoghi sospetti anche di santi e dottori della Chiesa, vennero sottoposte ad una fine opera di inchiostratura in modo da coprire e rendere quindi illeggibile la parte del testo giudicato proibito, come accadde per i sei grandi volumi del Theatrum Humanae Vitae (Basilea, 1586-87) di Theodor Zwinger conservati a Lamezia Terme e che grazie a questo espediente riuscirono a sopravvivere. Perfino un dizionario greco-latino stampato a Basilea nel 1524 e conservato qui, presenta diverse inchiostrature dove addirittura la parola “Basilea” viene annerita in tutte le sue occorrenze nel testo. Uguale sorte subirono Le metamorfosi di Ovidio, la cui edizione veneta del 1536 venne deturpata dall’inchiostro censorio su intere pagine.

Numerosi sono gli aghi con fili di canapa per la cucitura dei fascicoli o seta di capitelli che sono rimasti fra le pagine di alcuni dei libri della raccolta lametina a testimonianza dell’aggravamento dei dazi sulla carta che caratterizzo’ la stampa dei libri fino alla prima meta’ del XVIII secolo dove la circolazione dei libri fino in Calabria era garantita da navi che li trasportavano in barili di legno a pagine sciolte, che venivano in seguito rilegate da parte di un particolare gruppo di frati nei conventi, i conversi. Sono state inoltre ritrovate delle sagomine ritagliate nella carta con precisione, come quelle raffiguranti un ostensorio, un calice e uno stemma gentilizio o anche una grande ostia da consacrazione.

La raccolta lametina include pure come numerose lettere e le cosiddette maculature, carta o pergamena di scarto impiegate come fogli di guardia o nella formazione delle assi e nell’indorsatura. Sono stati infatti ritrovati due bifolii mss. greci (XI secolo circa) o frammenti di mss. latini del XIV secolo, la cui presenza in Calabria si potrebbe spiegare con le frequenti donazioni che si ebbero a favore dei Frati predicatori da parte di piccole cappelle o monasteri abbandonati da monaci basiliani o benedettini trasferiti altrove.

La sede della Biblioteca ospita alcune delle manifestazioni del festival lametino Trame. Festival dei libri sulle mafie, evento letterario che tiene nella città dal 2011 nel mese di Giugno e con cadenza annuale.

Servizi Offerti

La Casa del Libro Antico è una biblioteca di conservazione e di ricerca, finalizzata alla tutela e alla valorizzazione dei beni librari, archivistici e documenti legati alla memoria culturale del territorio, mette a disposizione del pubblico: sale di consultazione e studio; un servizio di consultazione e studio dei libri antichi; un servizio di consultazione e studio dell’archivio storico dei Cappuccini di Nicastro; una sezione di consultazione a scaffale aperto; un apparato di pannelli didattici sulla storia del libro; un servizio di informazione e consulenza per interrogazione delle banche dati interne e remote; un servizio di visita guidata su prenotazione; iniziative culturali con particolare riguardo alla diffusione della lettura, alla conoscenza e comunicazione dell’informazione; tirocinio studenti universitari; servizi aggiuntivi.

Per orari di apertura e chiusura consultare il sito del comune di Lamezia Terme.


Dattilo Valentina

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